552 imprese a partecipazione estera, 70 mila dipendenti, 26,5 miliardi di fatturato: è questo il panorama degli investimenti esteri in provincia di Torino. Nonostante chiusure e perdite di addetti, il settore manifatturiero continua a guidare la presenza sul territorio in termini occupazionali.
Il terziario è primo per numerosità di imprese. Si affacciano nuovi investitori provenienti da paesi più lontani, soprattutto dall’Asia.
I dati emergono dalla ricerca “Multinazionali a Torino – Evoluzione degli investimenti esteri negli ultimi 50 anni”, promossa dalla Camera di commercio e dall’Unione industriale di Torino, con la collaborazione di Ceipiemonte.
“Nonostante il periodo di difficoltà, Torino vanta ancora oggi una presenza di multinazionali molto più elevata della media nazionale – ha commentato Daniele Vaccarino, vicepresidente della Camera di commercio di Torino. – L’analisi storica ci aiuta a comprendere i punti di forza che ci hanno permesso negli anni di mantenere un buon livello di attrattività, soprattutto in ambito manifatturiero. Oggi il panorama si evolve ancora con l’affacciarsi di nuovi investitori provenienti dalle aree maggiormente in crescita, come l’Asia”.
“Le imprese transnazionali sono per il nostro territorio un grande patrimonio da non disperdere e anzi da consolidare – osserva la presidente dell’Unione Industriale di Torino, Licia Mattioli. – Torino non avrebbe conquistato una posizione di leadership manifatturiera in Italia e in Europa senza il fondamentale contributo delle imprese estere. In una fase di crescente competizione tra territori per attrarre risorse sempre più scarse e più mobili, occorre che tutti siano consapevoli del ruolo essenziale degli investimenti esteri per rilanciare lo sviluppo del nostro territorio, e modifichino di conseguenza i loro comportamenti e atteggiamenti”.
Le imprese manifatturiere a controllo estero con sede in provincia di Torino sono 154, e occupano poco meno di 43mila addetti; rispetto al 2005, si registrano 5 imprese in meno e una perdita di circa 12.500 addetti. Il settore più colpito è l’automotive in cui, componentistica inclusa, si riduce di un terzo l’occupazione complessiva delle imprese a controllo estero, scendendo sotto la soglia delle 10mila unità.
Simili riduzioni nel numero di dipendenti si registrano in altri settori collegati a vario titolo all’automotive, come i prodotti in metallo, i prodotti in plastica e la metallurgia. In parziale controtendenza la meccanica strumentale (da 24 a 27 imprese), anche se scende il numero di addetti coinvolti nelle partecipazioni estere (da quasi 9mila a 7.750), e alcuni settori ad elevata intensità tecnologica. Tra questi ultimi si segnala la strumentazione, che registra un raddoppio delle imprese a controllo estero (da 7 a 14).
Se il comparto manifatturiero continua a registrare la maggior presenza delle imprese multinazionali in termini occupazionali, pesando poco meno dei due terzi dei dipendenti totali delle imprese a partecipazione estere, il terziario vince in termini di numerosità delle imprese.
Sono, infatti, 302 su 519 le imprese a controllo estero attive nei settori dei servizi, con un totale di 20.900 addetti. Le sole filiali commerciali rappresentano oltre un quarto del totale (128 imprese, con circa 2.100 dipendenti). Tra i servizi spicca il comparto dell’Ict, con 36 imprese a partecipazione estera e 8.600 addetti, anche se dal 2005 ad oggi le imprese si sono ridotte di un terzo e i dipendenti sono dimezzati. Presentano invece una certa dinamicità le utilities (30 imprese partecipate nel 2012, con oltre 1.300 dipendenti) e i servizi tecnici (progettazione, engineering e ricerca e sviluppo, 33 imprese, con 1.592 dipendenti).
Con riferimento ai paesi di provenienza delle imprese multinazionali, il peso delle statunitensi è sceso al di sotto del 20% del totale (85 imprese controllate con poco più di 12.500 dipendenti), mentre quasi i due terzi delle imprese partecipate provengono dai paesi Ue-27.
In termini occupazionali prevale il Regno Unito (13.400 dipendenti in 34 imprese), mentre le presenze più numerose sono quelle di Francia (109 imprese, con poco meno di 12mila dipendenti) e Germania (87 imprese e quasi 6mila dipendenti).
Si evidenzia l’affacciarsi negli ultimi anni di nuovi paesi investitori, particolarmente dell’area asiatica (India 10 imprese, Cina 5, Emirati Arabi Uniti 3, Israele, Taiwan, Singapore e Hong Kong 2, Malaysia 1), dell’Europa dell’Est (Russia 5 imprese) e dell’America Latina (Brasile, in questo caso un ritorno). Contemporaneamente, anche nell’ambito Ue sono cresciute in numero le presenze di ‘nuovi’ paesi investitori, quali la Spagna (38 imprese).
Storicamente il Piemonte ha giocato un ruolo di forte attrazione nei confronti delle imprese estere fin dai primi decenni del ‘900, quando nella regione si insediarono importanti gruppi europei. A partire dagli anni Cinquanta si fece via via più intenso l’afflusso di investimenti diretti esteri anche dal Nord America, che ben presto fece degli Usa il primo investitore estero in Piemonte.
La prima indagine svolta in Italia sulle imprese a capitale estero nel 1966 rivelava la presenza in provincia di Torino di 54 imprese con partecipazione estera maggioritaria o paritetica, con 36.239 addetti complessivi, pari rispettivamente al 4,3% e al 9,4% del totale nazionale. Le imprese statunitensi rappresentavano il 36% circa delle imprese estere, contro il 28% della Francia, il 24% degli altri Paesi CEE e il 12% della Svizzera. In questa fase, il principale fattore locale di attrazione nei confronti degli investimenti esteri consisteva nella presenza sul territorio di imprese di grandi dimensioni operanti nello stesso settore dell’investitore estero; erano prevalenti le iniziative greenfield, ma iniziavano ad affiancarsi alcune acquisizioni di partecipazioni in imprese di medie e grandi dimensioni.
Negli anni Ottanta si avvia un accelerato processo di integrazione multinazionale delle imprese italiane, nel quale Torino e il Piemonte assumono un ruolo guida non solo sul lato dell’internazionalizzazione attiva (ovvero degli investimenti in uscita), ma anche sul lato dell’internazionalizzazione passiva, collocandosi subito dopo Milano e la Lombardia quale destinazione preferenziale degli investitori diretti esteri in Italia. Le acquisizioni prevalevano nettamente sugli investimenti greenfield ed erano soprattutto le caratteristiche dell’impresa acquisita a guidare le decisioni di investimento, piuttosto che la comparazione tra diversi possibili insediamenti in funzione di specifici vantaggi territoriali (ovvero conta di più l’impresa acquisita della sua localizzazione). Il profilo degli IDE in Piemonte riflette in questo periodo la sua collocazione tra le “regioni forti” dell’economia europea, con l’avvenuta maturità industriale, la crescita di settori a tecnologia avanzata e l’offerta di servizi alle imprese allineata agli standard delle aree più industrializzate.
Negli anni Novanta iniziano a crescere con decisione gli investimenti esteri nei settori terziari. Tra il 1985 e il 1995 il numero di imprese a partecipazione estera in provincia di Torino cresce del 63%, mentre l’aumento del numero dei relativi addetti è pari solo al 32%, in relazione ad un forte effetto di ridimensionamento delle imprese già partecipate. Si amplia il numero di paesi investitori (da 11 a 17), ma la presenza dei paesi extra-europei (a parte gli USA) è ancora molto limitata, con quattro soli paesi (USA, Germania, Francia e Regno Unito) che controllano oltre il 70% delle imprese e degli addetti. Da segnalare in questo periodo la forte crescita degli IDE tedeschi, con importanti acquisizioni nell’automotive, nella meccanica strumentale e nella chimica.
La consistenza degli investimenti esteri nell’industria torinese cresce ancora negli ultimi anni Novanta e all’inizio del Duemila. Si conferma l’interesse delle multinazionali estere verso le filiere della meccanica strumentale e automotive, mentre si riduce la consistenza delle partecipazioni in comparti meno strettamente correlati alla vocazione manifatturiera torinese, come i prodotti elettrici, la carta, l’editoria, l’elettronica e telecomunicazioni, le bevande e i prodotti chimici.
Nei primi anni Duemila si registra tuttavia un brusco calo di tendenza: la consistenza degli investimenti esteri nell’industria manifatturiera inizia a calare, sia in termini di numero di imprese partecipate, sia soprattutto in termini di numero di addetti, per effetto di un generalizzato processo di downsizing delle dimensioni aziendali.